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Le vacanze estive in montagna

Le vacanze estive in montagna

P er tutti l’estate è sinonimo di vacanze, vuol dire che si vive un periodo lungo oppure breve di distacco dalle faccende di tutti i giorni, siano esse il lavoro oppure lo studio, come anche tutte quelle occupazioni che durante l’anno impegnano quasi tutte le persone in lavori fuori casa o dentro ad essa. In altri casi l’estate era la stagione ideale per far cambiare aria ad alcune persone in special modo quelle affette da disturbi respiratori. I bambini piccoli generalmente sono questo tipo di soggetti, più inclini ad ammalarsi con facilità, soprattutto d’inverno quando il freddo e la promisquità portavano al contagio e allo sviluppo di malattie polmonari che spesso diventavano vere infezioni con febbre alta da smaltire. Così in estate si cercava di rinforzare queste gracili creature con dei soggiorni vissuti nei luoghi di villeggiatura in montagna, venivano chiamati “soggiorni climatici“.

Le famiglie più agiate si potevano permettere questo periodo in montagna usando dell’ospitalità di qualche famiglia residente, ma anche pernottando in albergo o in qualche locanda dove venivano accolte per far trascorrere un lieto periodo di riposo, le famiglie più povere dovevano consegnare i loro figli a delle assistenti che poi li portavano nelle colonie dove venivano seguiti durante le due settimane destinate alla vacanza. La “colonia elioterapica” una tipica iniziativa nata durante il “ventennio fascista” con lo scopo di favorire le famiglie con difficoltà economiche che così potevano far fare ai loro figli un momento di vacanza oltre che permettere agli stessi di respirare l’aria fresca e pulita della montagna, ma anche del mare, del lago e in alcuni casi del fiume (non so se in questo caso si trattava di vera terapia o se era invece piuttosto rieducazione ai principi dettati dalla situazione allora in voga).

Per questa ragione si costruirono nei luoghi più disparati delle montagne e delle Dolomiti decine e decine di enormi fabbricati che poi dovevano ospitare queste schiere di bambini di tutte le età. Ma la colonia era anche luogo di formazione e in certe istituzioni si organizzavano dei soggiorni in perfetto stile militare, dividendo tutti i bambini in squadre che poi erano seguite dai capi squadra e poi dagli assistenti. L’obbligo al mattino dell’alza bandiera come del resto si faceva in un qualsiasi campo scout e poi una serie di prove di coraggio o competizioni che ne ricalcavano lo spirito. Ai bambini, quasi sempre, dovevano cimentarsi in varie prove fisiche e competizioni mentre alle bambine si facevano fare dei giochi più adatti alla loro natura. Se invece la colonia era gestita da qualche congregazione religiosa allora lo stile seguiva quanto dettato dallo spirito che la animava, momenti di preghiera venivano intervalati con momenti di svago.

un gruppo di amiche in colonia a Foza (VI)

un gruppo di amiche in colonia a Foza (VI)

La colonia era anche una esperienza di vita fatta assieme a decine di altri bambini sia nei momenti di riposo, di pulizia, pranzo e cena, questo voleva dire seguire orari precisi, obbedienza assoluta, resistenza eroica anche quando si era indisposti perché sapevi dai più esperti che nessuno si sarebbe occupato dei malanni che ti potevano succedere. Se per caso questo capitava dovevi stringere i denti e augurarti che l’indisposizione si presentasse verso la fine del soggiorno, ritornare al più presto tra le mura familiari ed essere soccorso dalla mamma. Il peggiore che colpiva tutti era la nostalgia e allora si piangeva di nascosto e poi con coraggio si ripartiva il giorno successivo alla scoperta del territorio percorrendo dei ragguardevoli tragitti e tutti in fila per due stringendosi per mano onde evitare qualche possibile imprevisto se per caso si scivolava lungo qualche viottolo magari bagnato dalla abbondante pioggia caduta la notte precedente.

L’esperienza fatta in queste condizioni così difficili o riusciva a far rinforzare il carattere delle piccole creature che vi partecipavano o le faceva soccombere con uno strascico sulla memoria che poi riaffiorava l’estate successiva e induceva il povero bambino a rifiutare il pur minimo approccio all’invito del soggiorno in colonia e i pianti a volte riuscivano a convincere i genitori a declinare la proposta o poteva succedere che pur nel pianto disperato si era costretti ad affrontare di nuovo questo difficile avvenimento a meno che non ci fosse la concreta via di fuga costituita da un soggiorno da fare presso la casa dei nonni o di qualche parente che aveva la casa in qualche bel posto oppure ci si univa a loro quando partivano per qualche luogo di villeggiatura.

vacanze a Tonezza (VI)

vacanze a Tonezza (VI)

Quindi se tutto filava liscio poteva succedere che gli zii ben contenti si prendevano carico di aggiungere un loro nipote alla comitiva in partenza per le vacanze in montagna e allora era tutta un’altra storia perché con loro si potevano scoprire posti e luoghi a volte incantati e di sicuro effetto come quando lo zio andava nella malga a comprare il formaggio e rimanevi affascinato dai vari oggeti presenti nel luogo e utilizzati dal malgaro per fabbricarlo, come pure la incredibile scoperta della bevanda al cioccolato caldo, bevuta soffiando a più non posso per evitare che ti scottasse la lingua, giù nella piazzetta del piccolo paese che ospitava gli zii, in quel localino che non sapevi se era un bar, una pasticceria, o una semplice osteria di famiglia, calda e accogliente che sembrava di entrare in una di quelle baite di montagna dove c’era la  “stube“, la onnipresente grande stufa di ceramica posizionata proprio nel centro della stanza, che guardavi affascinato, come le assi di legno del pavimento che cantavano quando camminavi o le travi e il rivestimento sempre in legno spesso scurito dal tempo. Ma gli zii ti facevano conoscere anche lo spek, questo sconosciuto in pianura, usato tantissimo dalle famiglie in montagna e anche il pane nero di segala, un tipico alimento o quello ai semi di papavero, ma anche il pane al sesamo cucinato spesso da certi fornai di montagna, tutti prodotti che non c’erano nei paesi di campagna forse perché non di uso comune, mentre ai giorni nostri lo sono diventati e forse proprio per questo estro di tramandare le novità di paese in paese.

alcune donne della colonia di Foza (VI)

alcune donne della colonia di Foza (VI)

Chi soggiornava in colonia era costretto a mangiare quello che la cucina proponeva e se qualche poveretto aveva delle difficoltà con qualche pietanza era costretto a saltare il pasto e doveva accontentarsi della solita e immancabile pastasciutta al ragù o al pomodoro dal forte sapore di latta. Poi venivano servite le cotolette con qualche verdura cotta o insaltina fresca supercondita, in certi casi le sempre ben accolte patate fritte ma molto spesso quelle lessate e con poco sale e poco olio. Con grande intensità si aspettava la domenica perché era giorno di visita dei genitori che all’immancabile domanda “Come che te si sbatúo” (il senso della frase si riferisce all’uovo sbattutto con vivacità che mano a mano che lo si lavora passa dal colore giallo tipico del tuorlo a quello più pallido, quando diventa spumoso) allora sapevi per certo che la mamma riforniva l’armadietto della camera con qualche confezione di biscotti o qualche fettina di dolce, della buona frutta, portata da casa, dove vi rimanevano fino alla sicura scoperta da parte di altri bambini della camerata che ovviamente li rubavano senza lasciare traccia. Così piano piano trascorreva il periodo e alla fine si esultava nell’ultimo giorno, si salutavano i compagni di quelle vacanze e si ritornava finalmente a casa a riprendere in mano la situazione, soprattutto quella della cucina.

Le foto provengono dalle collezioni di Paolo Nequinio, di Paola Bottin e Silvana Borille.
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